Peace of mind

septiembre 24, 2014 § Deja un comentario


Mi mente está en calma, mientras mi cuerpo yace sobre mi cama mullida en posición fetal. Experimento ese estado maravilloso de duerme-vela caracterizado por el no-pensar, que naturalmente me es dado sólo tras muchos ciclos de tiempo. El sonido de unas pocas gotas de lluvia repicando, la primera brisa del alba y la sensación de descanso son agradables. La paz interior es no necesitar nada más. Quien tiene paz lo tiene todo. Las confusiones de las partes más nobles del cerebro no se hallan todavía activas. Pero su actividad no tardará en aparecer. Algo más tarde que de costumbre, pero sí. Al menos, mi implacable córtex prefrontal, donde reside la función ejecutiva cuya sola existencia me martiriza continuamente, parece, por un día, haberse olvidado de despertarse del todo al tiempo, y, con ello, de sumirme a mí de nuevo en la avidya, es decir, en la ignorancia que produce el sufrimiento. Mientras comienza a armarse contra mí para arrebatarme la paz, contra ese estado natural que bien podría ser un pálido reflejo de lo que los indios llamaran samadhi, escribo estas líneas, mientras comienzo a tener la mala señal procedente de lo que los sabios y entendidos de esta parte del mundo llaman estado natural de la conciencia, la vela. Como el guerrero que percibe a lo lejos ya el peligro del ejército enemigo, sé que la sensación que produce la calma no será duradera, y la paz me será, como siempre, arrebatada por la actividad del córtex prefrontal: con el torbellino simultáneo de pensamientos pasados, presentes y futuros que los antiguos yoguis llamaban chittavritti y nosotros, seres superiores instrumentales, procesos mentales productivos. Lo malo no será contemplarlos con distancia, sino tener que rendirme ante ellos y, con o por ellos, observar mi existencia terrenal y mis exigencias espirituales cristianas: ambas, con miedo, con angustia  y con llanto. Me pongo en la presencia de Dios. Pero Él, como en la mejor tradición protestante, guarda silencio. Es mejor eso a que se exprese por medio del sufrimiento, como enseñan algunos sabios y entendidos de este mundo y hombres de bien. Mi Dios es el Dios de una Misericordia si límites, «asombro para los santos e ininteligible para los ángeles», según las Letanías de la Divina Misericordia; El que comprende la debilidad de la condición humana y la justifica por su Amor, mostrando con ello también su humanidad. A él me encomiendo con el terrible Salmo de David: «¿Se escucha tu nombre en el país de los muertos?» Pero, «¿por la mañana irá a tu encuentro mi súplica»? Misericordia, Dios mío, por tu bondad. Guíame Tú, pues mi cruz es demasiado pesada. Buenos días.

Who are the enemies of Pope Francis? Vatican increases security measures due to ISIS Terror. Meanwhile, the Church needs urgently a new «aggiornamento» to boost its credibility

septiembre 20, 2014 § Deja un comentario


http://www.iltempo.it/esteri/2014/09/20/l-isis-minaccia-il-vaticano-controlli-raddoppiati-a-s-pietro-1.1312658

 

To Evil’s victory, it is enough that the good people do not make nothing (Burke)

Siembra vientos y recogerás tempestades (Proverbio anónimo)

 

Scrivo questo post, preoccupato per la vita e l’ integrità di uno dei migliori Papi che Dio ci ha dato negli ultimi cento anni, in lingua italiana, perché è la lingua ufficiale, assieme al latino, della Santa Sede, in considerazioni ai miei seguitori dall’ Italia, credenti e non credenti, e perché credo possa essere seguito anche dallo spagnoloparlante colto.

Coloro che vorranno trovare in questo post una ferma condanna al terrorismo islamico non la troveranno. Non perché io non condanni la crudele follia dell’ ISIS, alimentata in buona parte da una politica estera degli Stati Uniti imperalista a ancora basata sulla logica del Far West, ma perché questa condanna sta essendo utilizzata da lobbies conservatori per difendere qualsiasi mezzo di lotta contro il terrorismo. Sicuramente una política piú comprensiva con la situazione del popolo palestinese, basata sull’ intesa, l’ accordo diplomatico con il legittimo Stato di Israele e una politica chiara di investimento per l’ educazione e per la coesistenza pacifica nel rispetto alla diversità non avrebbero reso il terreno cosí facile alla semina dell’ odio che scaturisce dalla paura e dalla incomprensione della cosiddetta “societá internazionale civilizzata”, e da una Europa immatura la cui política estera sembra essere ancora irremissibilmente legata alla logica della guerra fredda, nella quale la “sinistra” equivale ad appoggio incondizionale al popolo palestinese, anche ai terroristi, e “destra” equivale ad appoggio internazionale allo Stato d’ Israele, anche al suo terrorismo di Stato. Mentre i “pseudointelletuali” europei si dibattono ancora su tali termini, a maggior gloria dei loro leader politici o giornalistici, molti siamo stanchi della politizzazione, nel peggior senso del termine, e nel liguaggio piú oscuro, basso e interessato, di ciò che è una vera e propia catastrofe umanitaria in Medio Oriente, alimentata dal circolo dell’ odio tra estremisti sionisti e fondamentalisti islamici di Hammas. In questo contesto viene fuori lo Stato Islamico, assieme alle declarazioni degli screditati leader iracheni e iraniani, i quali, como i leader dell’ Arabia Saudita, per contentare a tutti, e soprattutto il loro alleato supremo, il Governo Federale degli Stati Uniti di Norteamerica, con il Presidente Obama in testa, colpevole, como egli stesso ha riconosciuto, di tortura. La situazione è prebellica a livello mondiale, e gli atteggiamenti sia dal lato del “mondo libero”, sia dal lato islamico non sembrano troppo pacifici. Siamo, como ha detto il Papa, in una situazione di guerra mondiale “a pezzetti” (a trocitos). Adesso pare che –secondo fonti giornalistiche all’ uso, e quindi, che meritano la stessa credibilità dei leader o del pensiero unico degli Stati ai quali servono, sarebbe il Papa sotto il punto di mira degli islamisti. Propio la figura internazionale che piú ha pregato per la pace, che piú ha denunciato che un mondo dominato dalle regole del mercato e dalla volontá dell’ Occidente non è sostenibile né giusto, che bisogna trovare una soluzione per la pace in Oriente Medio che non passi per negare la giustizia che legittimamente appartiene sia a israeliani sia a palestinesi. Forse è vero, ma queste minacce, come si usa dire colloquialmente, non me la contano giusta. Se fosse stato Obama ad essere stato minacciato sarebbe stata una cosa diversa. E forse, ma dico soltanto forse, non è stato cosí perché anche egli ha deluso una buona parte del suo elettorato e si è messo da parte del “conservative law and order”. Una volta piú, le oscure e criminali agenzie di sicurezza degli Stati Uniti, la NSA, la CIA, hanno fatto quello che hanno voluto, alimentando l’ isteria collettiva cui é tanto ricettiva la popolazione media americana ed hanno colpito anche l’ integrità del Presidente eletto dal popolo, e che dovrebbe governare per il popolo. Cinquanta anni fa, in un discorso tenuto dal suo compagno di partito il Presidente J. F. K., ucciso in strane circostanze, gli assistenti alla conferenza tenutasi  all’ Università di Columbia, D.C. con occasione dell’ apertura dell’ anno accademico, ascoltarono como il loro Presidente cattolico, dopo aver messo fine a quella che fu forse la crisi piú grave della Storia dell’ uomo sulla terra, poiché potrebbe aver portato l’ Umanità intera alla distruzione nucleare, dichiarava di non volere una «pax americana» basata sulla assoluta egemonia degli Stati Uniti, ma di una vera pace nell’ interesse comuni di tutti i popoli e di tutti gli Stati, compresa l’ Unione Sovietica, «because everybody  live in the same planet, everybody breath the same air, everyone take care of the future of their children and, at least, everybody are mortals».

La fiducia nella Provvidenza e nella presenza di Cristo risorto, assieme al Suo spirito, è la miglior sicurezza per il Papa, a guida della sua Santa Chiesa. Noi preghiamo a lungo il Papa, affinché non venga sconfitto dai suoi nemici sia interni sia esterni, ed affinché Dio muova i loro cuori nella direzione dell’ Amore. Nemici del Papa non appartengo soltanto a movimenti fondamentalisti islamici como lo Stato Islamico, ma ce ne sono anche dentro la Chiesa Cattolica. Coloro che disprezzano il Papa e la sua attività volta ad avvicinare la Chiesa ai poveri, ai disperati, agli emarginati di questo mondo, e lo fanno sotto le vecchie insegne di una Chiesa imperiale malintesa, basata sull’ ornato, la condiscendeza o la collaborazione, attiva od omissiva, con il potere civile, non fanno altro che ostacolizzare la lavore di evangelizzazione affidata dallo Spirito Santo al legittimo successore di San Pietro. Questi, tanto affetti all’ autorità come concetto, disprezzano l’ autorità concreta di colui che incarna nel momento presente il potere delle chiavi affidato da Gesú stesso alla Sua Chiesa, cuando non conviene loro. Per no contare i numerosi gruppi settari norteamericani che costituiscono la base sociológica di una buona parte dell’ elettorato del Partito Repubblicano. Fra di loro ci sono i lefrebviani presumibilmente «reabilitati» da Benedtto XVI, i tridentini preconciliari e molte settte e persone paranoiche che vedono nella Chiesa soltanto un cumulo di riti e liturgie senza Spirito, senza condivisione con il prossimo e senza il messaggio autentico di Gesú, il Quale, essendo il piú grande ed innocente, si abassò e fu contato fra i peccatori proprio per la nostra salvezza. Ma noi, che siamo tutti peccatori, compresi quelli che non riconoscono il loro peccato in nome di una presumibile condizione di «cittadini di legge ed ordine» dobbiamo seguire il messaggio di umiltà che scaturisce da una lettura sincera, anche la piú semplice, del Vangelo, il cui seguimento si manifesta otre che nella preghiera, negli atti di Misericordia, anche corporali, per il prossimo, come ci ricordava il Vangelo sulle beatitudini della Messa di prima di ieri, venerdí 19 settembre del 2014.

Sono dell’ opinione che il Vaticano debba conservare il suo potere temporale guadagnato storicamente attraverso giusti titoli di proprietà. cosí como il suo particolare status giuridico internazionale. Ma i beni e i poteri temporali della Chiesa devono essere intesi soltanto como servizio alla comunità umana, dove la Chiesa debe svolgere la sua opera di evangelizzazione attraverso la preghiera, i testimoni di fede, la sua presenza sacramentale, ma anche mediante l’ aiuto e il sostegno temporale. Soltanto attraverso le Missioni Pontificie arrivano ai paesi piú poveri miliardi di euro che contruiscono non soltanto alla costruzione di chiese, ma anche a promuovere la justizia sociale e la carità nei territorio piú poveri della terra, laddove né gli Stati, né gli organismo intermedi, né le NPO, né la propria Croce Rossa, riescono a paliare la situazione di miseria estrema patita dalla popolazione. E lá ci vuole un aiuto massivo proveniente proprio dalla Chiesa come portatrice di un messaggio di speranza ragionevole. Non si può -oppure é molto meno effettivo- parlare di Gesú e delle beatitudine, o degli atti di Misericordia corporali cui si riferisce Nostro Signore in Mt 27, per esempio, senza offrire a chi è estenuato dalla fame da intere settimane un pezzo di pane, acqua, e tutti i beni necessari per il suo decoroso sostegno. Proprio su questo punto, ed anche a rischio di essere malinterpretato, oggi piú che mai la Chiesa cattolica debe avere un patrimonio economico e un potere temporale e diplomatico il quale, seppur sui generis, le consenta di arrivare là dove l’ azione degli Stati e delle NGU non arrivano, e le consenta pure di mediare, como storicamente ha sempre saputo fare, nelle controversie fra gli Stati allo scopo di raggiungere fini condivisi da tutta la comunità internazionale, come la justizia, la pace, o la lotta contro la miseria. Oggi piú che mai, la Chiesa Cattolica è investita da una auctoritas e da una opinio iuris riconosciuta informalmente dalla comunitá internazionale che le può consentire una collaborazione piú efficace con le autoritá civil nel conseguimento degli obiettivi di rendere migliore il mondo. Il crollo delle ideologie e la palese menzogna sulla quale sono edificati gli Stati moderni -il potere del popolo- sono ormai noti a tutti: chi comanda sono i poteri finanziari, indipendenti dagli Stati, sottratti ai loro classici poteri «formali» e ai quali gli Stati, soprattutto quelli occidentali, di tradizione cristina, rendono colto. Sono, in parole del propio Pontefice, le «economie idolatriche» quelle che rendono il mundo. Esse sequestrano oggi sorta di potere minimamente democratico, onde per molti di noi hanno perso quella legittimità di origine proclamata dai classici e che fondava l’ autorità democratica del potere civile proprio nel contratto sociale. In questa situazione, nella quale il potere civile -comprese le Nazioni Unite e, soprattutto, le istituzioni di Bretton Woods, non avrebbe nessuna autorità -legittima, si intende- «se non fosse stata loro concessa dall’ alto» (cfr. Gn 19, 11), soltanto una instituzione como la Chiesa Cattolica, nella misura in cui esprima la sua particolare autorevolezza mondiale nel linguaggio e nelle forme dell’ autenticità, e non dell’ imposizione, una istituzione aperta al dialogo ecumenico e al dialogo con il potere civile, sia esso formalmente democratico o non democratico, una Chiesa amministratrice dei beni di questo mondo ma che non é del mondo –una Chiesa che, pur non essendo del modo, deve agire in questo mondo, perché fu in questo mondo, con tutto il suo peccato e la sua miseria, per il quale morí Nostro Signore-, non può disintendersi della sofferenza materiale della gente. Eppure, non dobbiamo confonde la Chiesa con il Regno di Dio: la Chiesa è pur sempre uno strumento, preziosissimo, attraverso la quale si manifesta l’ azione di Gesù e dello Spirito Santo, di tutta la Trinità, nel mondo, attraverso la preghiera, le opere di misericordia, e, soprattuto e in maniera fondamentale, per volontà expressa di Gesucristo, attraverso il miracolo della sua sacramentalità. A questo punto… come sostenere al contempo la neccessità di una Chiesa povera, non soltanto ni Spirito, ma anche nel materiale, e del potere temporale della Chiesa? Nella linea sostenuta da vari teologi del Novecento, con particolare sensibilità sociale, ciò è possibile se i responsabili dell’ amministrazione vaticana e di tutti gli istituti cattolici praticano il distacco tra la volontà di possedere e il fatto di possedere, nel nome dei valori che essi vogliono e devono perseguire: che la ricchezza della Chiesa Cattolica serva come strumento o come destino finale per lenire la sofferenza del prossimo, sia materiale sia spirituale. La pratica del distacco, comune a tante religioni attuali e scomparse sulla terra, è stata practicata da molte persone di buona volontà, cristiani oppure di altre religioni, i quali, non hanno semplicemente lasciato tutto a i poveri, ma si sono riservati la amministrazione anche durante anni, creando fondazioni, monti di pietà ed altri istituti benefici. Ma ad una condizione: essi hanno cambiato radicalmente il loro rapporto funzionale fra le proprie ricchezze (l’ avere) e la percezione del proprio io. Come esempio del fatto di un tale atteggiamento può essere riscontrato in altre religioni millenare, nel tardo buddismo, il ramo meno rigoristico del Buddismo scolastico, raprresentato dalla Bhagavad-Gita, non richiede la rinuncia al mondo, a se stessi e ai beni temporali -como nemmeno una tale richiesta è pienamente soddisfatta del proprio Buddha e da molti suoi autorevoli discepoli-, ma si accontenta con il mandato di trasformare  in sacrificio le proprie azioni, rinunciando ai loro frutti -che vanno cosí a beneficiare gli atri o Dio-, rompendo in questo modo la ruota karmica del pensiero indiano responsabile della schiavitú operata da noi stessi e dalla interminabile catena di azioni-conseguenze que determineranno, a sua volta, il ciclo delle reincarnazioni. Invece, sacrificando i frutti (buoni, si intende) delle proprie azioni l’ uomo si libera da una delle cause del dolore che lo lega a questo mondo, l’ ansia di possedere, e puó giungere, senza necessità di grandi processi meditativi o ascetici, alla «liberazione».

Ora, tornando al cristianesimo e alla Chiesa Cattolica, possiamo ritrovare elementi comuni di queste idee, le quali devono ovviamente essere contestualizzate, nel comportamento di grandi santi e sante della Chiesa. Mi piacerebbe avere un dialogo con Giovanni Papini su questo punto, piché egli fu molto duro sulla questione della accumulazione delle ricchezze da parte della Chiesa, ma si dichiaró anche «medievale» (cfr. La scala di Giacobbe). Tornando al punto di partenza, credo sinceramente che siamo entrati in una nuova era dal punto di vista político ed economico, ma non alla leggera o «light», como sostengono i raprresentanti dei cerchi new age, ma proprio pero la assenza di un potere civile forte che ha caratterizzato sia l’ Antichitá (l ‘ Impero), sia l’ Etá moderna e parte di quella contemporánea, al meno fino alla comparsa della cosiddetta «postmodernità». Le istituzioni piú politiche delle Nazione Unite -e con questa precisione voglio mettere a salvo da questa analisi critica le principali istituzioni della «famiglia» delle NU, quali la FAO, l’ UNESCO, l’ UNCTAD, l’ ACNUR, l’ OMS e molte altre, che svolgono una importantissima funzione di «coscienza critica» della comunità internazione- non valgono piú, rispecchiano ancora i vecchi rancori della Guerra Fredda. E accanto all’ ONU istituzioni che dovrebbero reggere con giustizia i rapporti economici e finanziari fra le Nazioni per migliorare le condizioni di vita delle persone, non fanno altro che servire gli interessi delle grandi corporazioni economiche e finanziarie multinazionali. In questo contesto internazione, l’ attività istituzionale della Chiesa Cattolica può essere efficace se si fonda sull’ apertura alla società internazionale, soprattuto ai paesi piú poveri, e tende loro la mano, como oggi ha espresso il Presidente dell’ Albania al Papa. Ma é soltanto nel Vangelo di Gesù dove la Chiesa debe ritrovare continuamente la forza che viene dall’ Alto e che le da la sua indistinguibile autorevolezza, nel senso di autenticità. E da questa Fonte senza fine la Chiesa debe saper portare, anche institucionalmente, oltre al messaggio evangelico di speranza nella nuova vita regalataci da Gesú, l’ esempio della sua prassi concreta attraverso le opere di beneficenza, protezione e rifugio. Anche facendo valere la sua riconosciuta autorità internazionale come Santa Sede, sapendo che é sempre assistita dallo Spirito Santo secondo la promessa di Gesú, e mettendo a lavorare tutte le sue forze umane, materiali, istituzionali, giuridiche, mediatrici e diplomatiche al servizio di tutti gli uomini, specialmente dei piú deboli ed emarginati della Terra. Affinché loro possano sentirsi assistiti dalla comunità di vita che è la Chiesa e, dinanzi al mondo, possano anche mettersi a rifugio, come si diceva anticamente, «in sacro», dove nessuna autorità umana né nessun potere civile oserrebbe toccarlo, perché sono i figli prediletti di Dio, coloro che sono stati rifiutati, per azione o per omissione colposa, dalla nostra società ipocrita. Come lo furono gli ebrei e gli altri  uonini, donne e bambini perseguitati dal nazismo e dal comunismo in molte Chiese, anche con l’ aiuto -oggi dimenticato- di molti paesi neutrali o non belligeranti.

Preghiamo dunque per il Papa. Affinché egli sappia gestire con umiltà, saggezza, intelligenza e lungimiranza, assistito dallo Spirito Santo, il Tesoro che gli è stato affidato da Gesú: la Santa Chiesa Cattolica. Perché sappiamo che le porte dell’ inferno non prevalebunt. Cristus vincit, Cristus regnat, Cristus imperat. Benedicat omnes gentes omnipotens Deus. Amen.

 

Madrid, a 21 settembre del 2014, Festività di San Matteo Apostolo ed Evangelista

 

Per: Dott. ric. Pablo Guérez Tricarico

Signed by.: Pablo Guérez Tricarico, PhD

 

I. H. S.

A. M. D. G.

 

La plaza San Pedro ha reforzado las medidas de seguridad.
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Who are the enemies of Pope Francis? Vatican increases security measures due to ISIS Terror. Meanwhile, the Church needs urgently a new «aggiornamento» to boost its credibility by Pablo Guérez Tricarico, PhD is licensed under a Creative Commons Reconocimiento-NoComercial 4.0 Internacional License.

Movilización climática de los pueblos

septiembre 20, 2014 § Deja un comentario


Sobre la movilización climática.
No soy experto en cambio climático, pero como ciudadano y como persona comprometida con el mundo y con la sociedad he podido aprender algo sobre este fenómeno en los últimos años. Básicamente, lo que todos sabemos y algunos intentan justificar incluso con argumentos científicos diciendo que no es para tanto. Pues mientras no sea para tanto, el nivel de las aguas provocado por el deshielo de las superficies heladas crecerá lo suficiente como para que, en tres o cuatro décadas, en varios países del norte de Europa, Asia y América, el mar vuelva a ganar el terreno que la aparición de la vida en el Planeta y los cambios geológicos le quitaran hace millones de años; para que las temperaturas y el efecto de la radiación ultravioleta siga creciendo y alterando el hábitat natural de los ecosistemas en buena medida responsables de que nosotros, los hombres, los animales más peligrosos de la Tierra según el Guinnes de los Records, podamos seguir esquilmando los pocos recursos que quedan en la biosfera fundamentalmente para hacer negocio con ellos y, con ello, cerrarnos las puertas a nuestra propia supervivencia como especie. A mucha gente le da igual, porque no piensa de aquí a treinta años, y le da igual que le dejemos a nuestros hijos un mundo sin bosques, sin alimentos naturales sin recursos mientras les reprochamos que pasen demasiado tiempo ante videojuegos de realidad virtual. Si las cosas no cambian, lo virtual será poder realizar en el futuro un sencillo paseo en bici o a pie por el campo, o simplemente cultivar la tierra, único recurso de millones de personas excluidas de la economía de consumo y de las necesidades impuestas por un capitalismo inflexible. En cualquier caso, cualquier experto sobre cambio climático, ya sea físico, biólogo, bioquímico, geólogo, ecólogo, periodista o simplemente un ciudadano bien informado podrá hablaros mejor de la realidad de este fenómeno. En cuanto a la responsabilidad que debamos asumir ante él, no les toca a los científicos definirla, sino a la sociedad, a los políticos y a las personas a las que algunos concedemos autoridad. Los científicos, desde su parsimonia y humildad, simplemente advierten, pero el cambio lo debemos dar nosotros, comenzando por cosas tan aparentemente inútiles y pequeñas como el reciclaje o la separación de basuras. A lo mejor será lo máximo que podamos hacer para «salvar al Planeta», y, con ello, salvarnos a nosotros mismos como especie consciente, es decir, especie con el enorme poder evolutivo de cambiar radicalmente su entorno. Conservando y fomentando los ecosistemas que sabiamente regulan los ciclos naturales que hacen posible la vida en la tierra o destruyéndolos. Está en nuestras manos.
Abandonemos pues ya nuestra concepción trasnochada, propia también de buena parte de las personas que se declaran cristinas, de interpretar el mandato bíblico de «llenad la tierra y sometedla» (Gn 1, 19). Dicho pasaje debe ser interpretado -y aquí pretendo echar mano de mi pobre conocimiento teológico-, en el sentido de una encomienda. Somos administradores de la Creación, de la cual nos podemos servir para nuestros fines lícitos, pero no nos es dado hacer lo que queramos y, mucho menos, destruir el mundo y nuestra propia presencia física en él antes de que el designio del Creador en tal sentido -el Apocalipsis o fin de los tiempos- tenga lugar. Y deberemos de responder de los vertidos, de las contaminaciones, del uso imprudente de la energía, de los desastres ecológicos provocados por la codicia del hombre y por sus guerras inútiles.
En ciertos ambientes corre el rumor de que el papa Francisco va a sacar dentro de poco una encíclica sobre la cuestión ecológica, cuyo entendimiento, como argumentaré enseguida, no puede desligarse del compromiso con nuestros congéneres y con nuestras generaciones de vida, especialmente teniendo en cuenta la calidad de vida de las personas más pobres y desfavorecidas del planeta, que son la inmensa mayoría.
Si bien la cuestión ecológica no fue tratada expresamente en las encíclicas sociales de los años 60 y 70, las constantes referencias que en ellas, así como en las declaraciones conciliares del Vaticano II encontramos al destino común universal de todos los bienes y de los recursos naturales de los que se extrae la «riqueza» de la economía productiva, el constante mandato de repartirlos en justicia y en caridad entre todos los hombres, así como la necesidad de revalorizar la agricultura, sobre todo en los países menos desarrollados, y el comercio justo entre los recursos de esos países y los llamados «países desarrollados», lo que suponen, a mi juicio, pequeñas semillas de lo que posteriormente sería incorporado al Catecismo de la Iglesia Católica en su doctrina sobre el séptimo mandamiento y el respeto a la integridad de la Creación. Hace siete siglos, santos como el propio San Francisco de Asís advirtieron la necesidad del respeto y la comunión del hombre con el resto de la Creación -«pues vio Dios que era bueno» (pasaje repetido varias veces en el primer Capítulo del Génesis-.
Sin embargo, la falta de desarrollo dogmático de una cuestión de suma importancia en la actualidad en la teología oficialista posconciliar se debió probablemente a la priorización de otros asuntos más ligados a la defensa del poder geoestratégico de la Iglesia Católica en su lucha contra el socialismo real, a través del reforzamiento de la moral personal y familiar. Las cosas, sin embargo, si tenemos en cuenta el espíritu evangélico, el propio espíritu del Concilio y las declaraciones de varios teólogos sobre la importante responsabilidad del hombre en la administración del patrimonio común representado por la biodiversidad del planeta, deben motivar pronto declaraciones de los máximos líderes eclesiásticos, sobre todo teniendo en cuenta el tiempo transcurrido desde las primeras declaraciones conciliares progresistas, en éste y en otros terrenos a mi juicio inseparables de éste como la cuestión social, el reparto de la riqueza y la redefinición de las necesidades, de las relaciones de riqueza y de poder entre los hombres y los pueblos y del papel de la propia Iglesia en el mundo. Por otra parte, los efectos científicamente comprobados producidos por el cambio climático debe conducirnos a tomar una postura activa de lucha contra los hombres y las corporaciones que anteponen sus intereses o los de sus empresas al interés común de la conservación del medio ambiente. Tampoco una suerte de «regeneración espontánea» o adaptación evolutiva de la Tierra a los cambios realizados por el hombre justifica los graves atentados producidos al medio ambiente, y éste, si bien es verdad que ha logrado adaptarse, a diferente escala, a durísimas condiciones impuestas por la industrialización humana, lo ha hecho pagando un peaje ecológico incalculable y, desde luego, no deberíamos extrañarnos que las adaptaciones de la tierra al comportamiento hostil provocado por el hombre tengan un límite moral para el propio hombre. Bastantes avisos nos está ya dando la naturaleza, sobre todo tras la verificación de la paulatina destrucción de la capa de ozono o la finalización del deshielo, de hace apenas un par de años, de Mar de Bering y de buena parte de las banquisas del Ártico, lo que ha provocado, además de la apertura de nuevas vías de navegación, una justificada alarma sobre los efectos que, a más corto plazo de lo que pensamos, puede tener la subida del nivel medio de las aguas. Por poner solamente un par de ejemplos.
Por otra parte, ni qué decir tiene que la defensa del ecologismo que promuevo es una defensa que no puede ser desligada de la defensa de los hombres y de las poblaciones más pobres del planeta, de aquellos cuya subsistencia depende exclusivamente del cultivo y de la exportación de materias primas cuyos precios son abusivamente fijados en los países occidentales. En este sentido, no defiendo un ecologismo «de ricos» y «para los ricos» basado en primar la calidad de vida de la clase media acomodada frente a la situación, enormemente desventajosa, de miles de trabajadores industriales, promoviendo soluciones «inmediatas» del estilo de «cerrar de inmediato determinadas fábrica o centrales energéticas», sino una concepción del patrimonio ecológico como un patrimonio común cuya riqueza, en forma de energía, vida y posibilidad de sustento debe llegar a toda la Humanidad. Para mí, o el ecologismo es «humanista», o sencillamente no tiene sentido como problema moral, ya que, siguiendo el propio razonamiento de varios ecologistas «extremistas», si el hombre no contribuye a dar marcha atrás en su desenfrenada carrera hacia una producción insostenible, será la propia naturaleza la que le barrerá del mapa de la tierra. Y la vida volverá a resurgir, probablemente, desde las bacterias, o las recientes algas «resistentes» al cambio climático recientemente descubiertas. Desde la perspectiva que aquí pretendo sostener, la defensa del medio ambiente y la lucha contra el cambio climático no puede desligarse de la defensa por la garantía de unas condiciones de vida digna de los hombres y de las generaciones futuras a las que dejaremos este planeta, el único que habitamos, por el momento, como herencia. Po ello, permitamos que la herencia medioambiental que dejamos a nuestros hijos, a nosotros mismos y a y nuestros congéneres, y especialmente a los hijos de las personas más desfavorecidas -los cuales, previsiblemente, según la tendencia de nuestra economía idolátrica y sumisa al Dios dinero y al cortoplacismo de la ganancia inmediata seguirán siendo, si cabe, personas más desfavorecidas que sus padres- sea una herencia llena de deudas.

Fdo.: Pablo Guérez Tricarico, PhD
Doctor en Ciencia Jurídica por la Universidad Autónoma de Madrid
Candidato independiente por la lista de «Los Verdes» a las elecciones municipales de 2003 a concejal por la localidad de Tres Cantos y miembro del Partido de «Los Verdes» y Delegado por Madrid en la Asamblea General de dicho partido desde 2007 hasta 2009. Miembro de Greenpeace España desde 1993 hasta 2001.

 

Visit: climate.nasa.gov

 

lapieldelabatata

El próximo 23 de septiembre en la ciudad de Nueva York, el secretario general de las Naciones Unidas Ban-Ki Moon será el anfitrión de la “Cumbre climática 2014”, evento en el que dirigentes gubernamentales, instituciones financieras, empresas y organizaciones sociales, se reunirán en torno a una necesidad urgente: anunciar medidas concretas destinadas a reducir emisiones, reforzar la resiliencia al cambio climático y movilizar la voluntad política para llegar a un acuerdo jurídico significativo en París 2015 (cumbre climática). Esta es la primera oportunidad en la que los líderes del mundo se reúnen para discutir sobre el tema desde la llamada “cumbre fallida” de Copenhague en 2009, y nada hace pensar que en esta oportunidad los resultados sean más alentadores. Mejor que esperar esas “medidas audaces” en los discursos de los gobernantes de las grandes potencias, debemos fijar nuestra atención en la que se prevé será la mayor manifestación alrededor…

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Enlace: ¿el antídoto para la decepción?

septiembre 19, 2014 § Deja un comentario


http://preview.msn.com/es-es/noticias/other/el-ant%c3%addoto-para-la-decepci%c3%b3n/ar-BB4C5Xc

 

NOTA TÉNICA SOBRE LA INCORPORACIÓN DE ENLACES AL BLOG. Hasta hace unos días había publicado los enlaces de interés en los widgets de la parte derecha del blog. Comoquiera que éstos se muestran en un formato muy pequeño, e incluso no son visibles para algunos dispositivos, como determinados tablets o smartphones, y de momento no quiero pasara a una edición Premiun del blog -todo esto solo lo hago con 15 euros al año, mucho esfuerzo y dedicación y también entretenimiento-, he optado por incorporarlos como posts en la página de cabecera. Hace no mucho publiqué un enlace sobre el impacto de la crisis en la salud de la población mental española, que seguramente repostearé como entrada.

En cuanto a mi comentario sobre este interesante artículo aparecido esta mañana en la página msn.com, que toma de Europa Press, seré breve: Ojalá el descubrimiento pueda mejorar la vida de mucha gente y contribuya a la que los neurólogos o neuropsiquiatras asuman su responsabilidad de reemplazar a la vieja psiquiatría y su visión reduccionista del ser humano aislada del entorno sistémico y cultural, al tiempo que contribuyan a trabajar, conjuntamente con la psicología científica, en las bases neurofisiológicas implicadas en la conducta humana.

El mito de las clases medias

septiembre 15, 2014 § Deja un comentario


Interesante diagnóstico sobre el fin de la clase media, que explica cómo muchos pasamos, a veces no sin nuestra imprudencia u omisión, carne de cañón de las entidades usureras legalizadas llamadas entidades bancarias, sujetas o no a la supervisión del Banco de España, de ser clase media acomodada -al menos «en potencia» y con expectaivas legítimas perfectamente razonables- a clase media empobrecida. Sin embargo, no puedo compartir la conclusión sobre la vuelta a la «conciencia de clase» de la clase obrera, sencillamente porque esta se encuentra alienada de verdad en unos términos que ni los marxistas más ortodoxos pudieron prever. Bastante tiene que sobrevivir, con evitar que se les eche de sus casas o de su trabajo o con conseguir un trabajo de 400 euros como en los peores tiempos del caciquismo español. Me pregunto si vosotros podríais soportarlo sin tirar la toalla de la «lucha» política. Claro, que la opinión de un Catedrático, figura a extinguir en la Universidad pública española, condenada a extinguirse también debido a la necesidad de amortizar plazas, quizá difiera un poco de la de un simple profesor en paro acreditado para plazas de profesorado permanentes que ahora, tal vez y digo sólo tal vez -las hipótesis contrafácticas nunca me han gustado porque no pueden comprobarse-, sería Profesor Titular si hubiera nacido cinco años antes. Aunque cuando tuve trabajo temporal durante seis años y medio, e incluso beca, nunca abandoné mi sensibilidad social.

Skid Row. Estados Unidos: ¿el país de las oportunidades o de la desigualdad extrema? La otra cara del «american dream»

septiembre 10, 2014 § Deja un comentario


http://www.bbc.co.uk/mundo/noticias/2014/09/140813_eeuu_los_angeles_skid_row_indigentes_sin_hogar_jg.shtml

SIMPLIFICACIONES POLITICAS

septiembre 10, 2014 § Deja un comentario


No estoy de acuerdo en todo, pero es un buen artículo sobre el error que supone la atribución al PSOE de todos los males sociales y políticos de la España actual y el «y tu más» del PP.

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Samsung 353Vivimos en una sociedad híper informada e híper conectada. Una sociedad que tiene acceso a cualquier noticia que se produzca en cualquier lugar del mundo casi en tiempo real, contada no solo por los medios clásicos de comunicación, sino también por cualquier usuario de una red social que la esté viviendo en directo. Una sociedad que parece que se ha saturado con tantos datos y que ha decidido quedarse con el mero titular.

Esta semana hemos tenido el enésimo ejemplo de cómo funciona esta simplificación política que tanto interesa a los ricos, los poderosos, los corruptos, los que manejan el cotarro. Felipe González, al ser preguntado por el escándalo del latrocinio de la familia Pujol comenta que la primera impresión que tuvo al oír la noticia es que se trataba de una actuación de cobertura de un padre a sus hijos. No dijo que creía en la honradez de Pujo…

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Comentario a un artículo de «El Confidencial» sobre el trabajo de Profesor de Universidad

septiembre 9, 2014 § Deja un comentario


¡Ay de vosotros, escribas y fariseos, hipócritas! porque cerráis el reino de los cielos delante de los hombres; pues ni entráis vosotros, ni dejáis entrar a los que entrarían (Mt 23, 13-14). 

 

Estimados amigos, compañeros, profesores, estudiantes, familiares, ciudadanos y más de 6.000 lectores y visitantes de mi blog:

 

Os dejo un link del periódico «El confidencial» sobre «los males de la Universidad española» y mis comentarios al respecto, ligeramente ampliados en esta entrada. Son comentarios de alguien que tiene su corazón en la Universidad y en el claustro de profesores, pero que ya no es, como sabéis, y como le ha sido dicho con un lenguaje más propio de otras organizaciones, «uno de los suyos».

 

http://www.elconfidencial.com/alma-corazon-vida/2014-07-07/los-8-males-del-profesor-universitario-es-uno-de-los-trabajos-mas-toxicos-que-existen_156018/

 

Buenas tardes. Permítanme que haga una breve presentación de mi perfil universitario, a los principales efectos de justificar mi experiencia y conocimiento del sistema universitario español, pasa pasar seguidamente a comentar someramente este artículo.

 

He sido profesor honorario (sin cobrar nada) de una de las Universidades más prestigiosas del país durante tres años. Actualmente estoy en situación de legal de desempleo desde ese tiempo, y sin percibir prestación ni ayuda social alguna. Anteriormente trabajé con contrato laboral temporal -algo sólo permitido legalmente a las Universidades-, durante seis años y medio y, previamente, obtuve una beca predoctoral de cuatro años concedida por el Ministerio de Educación, Cultura y Deporte. A pesar de ser Doctor «cum laude», Premio Extraordinario de Doctorado y acreditado para plazas de profesorado permanente por la Agencia de la Acreditación, Calidad y Prospectiva de la Comunidad de Madrid, no encuentro trabajo. De nada.

 

Como comentaba al principio, y en estricta observancia de las normas de esta Comunidad, a la que agradezco la posibilidad de expresar mi opinión, lo que he escrito lo he hecho con la finalidad de fundamentar mi experiencia y mi conocimiento del sistema universitario español, de sus grandezas y de sus deficiencias.

 

A mi juicio, los principales problemas del sistema universitario no son ni la sobrecarga administrativa -aunque a mí me pasó factura-, ni el modelo feudal denunciado en el artículo -hoy mezclado con un régimen de control de agencias de calificación que hace que se potencien los efectos negativos de uno y otro modelo-, ni otros -a mi juicio anecdóticos- que se mencionan. Aunque me ha alarmado que se denuncie como problema generalizado el acoso por parte de alumnos. Admito el mobbing entre compañeros, pero el acoso por parte de los alumnos me suena a la típica herramienta de pendiente resbaladiza de la derecha no democrática para cargar sobre los alumnos las frustraciones de los profesores, implantar métodos docentes retrógrados basados en la autoridad y no en el respeto e impedir un aprendizaje autónomo por parte de éstos, que, no lo olvidemos, deberían poder acceder a las élites -abiertas, por supuesto- del mañana. Los profesores nos debemos a ellos y, en buena medida, muchos «viejos profesores» lo han olvidado. A mí, los estudiantes universitarios no me han dado más que satisfacciones en mi trabajo. Como entiendo que no puede ser de  otra manera.

Así que, desde la perspectiva que aquí sostengo, los principales problemas de la Universidad española actual son, a mi juicio, básicamente dos, y afectan, sobre todo, al reemplazo generacional.

En primer lugar las bases de ambos problemas se encuentran en el tremendo desfase entre el tiempo de la Universidad y el tiempo de la vida actual, que viene a coincidir, mal que nos pese, con el tiempo del mercado de trabajo, especialmente dominado en nuestro país por la idealización de la prisa y del cortoplacismo eficientista. La Universidad pública española ha exigido -por el reconocimiento que históricamente tuvo,  sobre todo fuera de las fronteras de nuestro país-, un tiempo de «formación» integral no agotada por la elaboración y redacción de una tesis doctoral; un «tiempo» muy superior al de la empresa privada e incluso al del sector público, formación que el último decreto sobre los estudios de Doctorado ha intentado recortar, como casi todo en este país, al amparo de la «convergencia» con el llamado espacio europeo de Educación Superior, limitando los Doctorados a tres años prorrogables e incorporando como paso intermedio la dudosa titulación del Máster Universitario de investigación. Sin embargo, hasta la última reforma de los estudios de Doctorado en 2011, el tiempo de tesis doctoral -que no es sólo el tiempo de realización de la tesis, sino tiempo de formación general, de colaboración en tareas docentes, de docencia real, de tareas administrativas, de trabajos por encargo-, se había alargado tanto que, para cuando una persona consigue tener un perfil universitario ideal, tiene de media 34 años, según la última encuesta del CIS al respecto. Parece que este país no conoce el término medio: o hacer tesis titánicas que más bien parecen tratados en las que se inviertan ocho, diez o doce años de trabajo, o realizar «tesis-express» puramente de especialización para adaptarse a las exigencias de no se qué mundo laboral. Como en tantas otras cosas, en este país, el término intermedio no existe. No quiero extenderme con ejemplos de Derecho Doctorado, pero en Alemania, donde se exigen tesis más breves, por ejemplo, un tiempo de investigación doctoral de cuatro o seis años es perfectamente asumible por el sistema universitario.  Y en los Estados Unidos el tiempo dedicado a cursar estudios de Doctorado (Phd degree), con un reconocimiento social y económico envidiable, si bien varía bastante según las Universidades, se sitúa de media entre los cuatro años para las disciplinas más científico-técnicas y los diez años para los estudios de Antropología. En cuanto a mí y a mis circunstancias típicamente hispánicas, que para mi tesis tuve que aprender alemán a un nivel académico desde la nada -incluidas estancias de investigación en Alemania-, y a pesar de que me cambiaron las reglas del juego una vez iniciada la partida, me doctoré algún año antes por encima de la media española, pero lo que percibíamos muchos Ayudantes cuando comenzó la crisis universitaria, antes de que comenzara la crisis general, era que, a pesar de todos nuestros esfuerzos, nunca conseguiríamos estabilizarnos, pues los Rectorados iban a cerrar el grifo de las plazas permanentes, tanto laborales como de cuerpos docentes universitarios, especie por cierto intocable en nuestro sistema universitario público y especialmente privilegiada de funcionarios, a la que todo le es permitido, desde el «simple» abandono de sus labores docentes hasta comportamientos y decisiones basados en la más absoluta discriminación por razón de sexo, salud o cualquier otra circunstancia personal o social, o el acoso sexual en toda regla, pasando por la inobservancia supina de la Ley de Incompatibilidades. Por supuesto, todo ello sin consecuencias. Pero no es mi intención hablar de ello con mayor profundidad en esta entrada. Allá cada uno con su conciencia.

El segundo gran problema, consecuencia en buena medida del anterior, es decir, de la falta de voluntad política de reemplazo generacional desde hace ya demasiado tiempo, es que, precisamente como los que tenemos un currículum laboral-universitario y no conseguimos obtener plazas, nos vemos abocados a entrar en el «tiempo» que nos corresponde. En el de personas de la década de la treintena cuya vocación universitaria ya no puede compensar por sí misma las necesidades de una persona que, no ya por su edad, sino por sus méritos, debería tener un «status» de «senior». En lugar de esto, nos encontramos sin trabajo y en peores condiciones de quienes todavía no han acabado la carrera. Es una de las manifestaciones de la hipercualificación, tan penalizada en este país debido al cortoplacismo empresarial y social imperante, de la que ya he hablado en otro lugar. El sentimiento de frustración de muchos expulsados como yo, además, agrava las secuelas psicológicas de nuestra situación y hace más difícil que consigamos, literamente, «rehacer nuestra vida». Porque, a pesar del sentimiento de frustración que nos produce el ver nuestra carrera universitaria truncada, algunos, como yo, seguimos teniendo vocación universitaria y creyendo en la Universidad como un proyecto de comunidad de vida, más que como en un trabajo.

Por tanto, la aportación que quisiera realizar a este foro es que debería distinguirse muy bien entre profesorados permanentes y quienes no lo son. No digo que éstos no tengan problemas, no estén lo suficientemente remunerados ni reconocidos como debieran ni sobrecargados administrativamente, ni que no se les haga injusticia. Pero, aun con todo, si tienen vocación, están desempeñando, a mi juicio, una de las mejores profesiones que existen. Con gusto volvería yo a la Universidad con un puesto de profesorado permanente cobrando 1.500 euros, que es el último sueldo que percibí, sobre todo teniendo en cuenta cómo está el mercado de trabajo. Por ello, cuando escucho a mis ahora ex compañeros -en realidad soy yo el ex compañero, puesto que han echado ellos- hablar de estas cosas, no puedo menos que indignarme o, en el mejor de los casos, ruborizarme. Porque no puede compararse la frustración de un Vicedecano sobrecargado con puesto fijo, o el un Profesor Titular que no llega a Catedrático, por ejemplo -por legítimas que sean estas quejas-, con la de quien ni siquiera está en situación de pedir una ayuda social con treinta y pico años tras trece años de dedicación a la Universidad lo mejor que ha podido.

 

Así que, si realmente se quiere dignificar a la Universidad, ábranse las promociones por abajo, puesto que son su futuro, y éstas asumirán con gusto las cargas de la burocratización, la endogamia y los demás males que denuncian aquellos que tienen dentro de la Academia la vida resuelta. Es más, estoy convencido de que el reemplazo generacional constituirá un elemento muy positivo para una reforma material -no política- de la Universidad, y redundará en provecho de la comunidad universitaria en su conjunto, para que aquella pueda servir a la principal finalidad que le ha sido encomendada por todas las leyes democráticas universitarias de nuestro país: la creación, desarrollo, transmisión y crítica del conocimiento, el arte y la cultura.

 

Vivat Accademia, vivant Professores

Vivat Accademia, vivant Professores

Vivat membrum quodlibet

Vivant membrae quaelibet

Semper sint in fiore, Semper sint in fiore.

 

Hasta aquí mi comentario: Sobre la hipercualificación y sus perniciosos efectos en el mercado laboral, recomiendo otro enlace en el mismo periódico digita. Son hechos: http://www.elconfidencial.com/alma-corazon-vida/2014-09-09/el-paro-de-los-espanoles-con-estudios-superiores-triplica-la-media-de-la-ocde_188713/

 

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Llamamiento a participar en la Jornada de Oración y Ayuno por la Paz convocada por el papa Francisco

septiembre 7, 2014 § Deja un comentario


La paz os dejo, mi paz os doy. No os la dejo como os la da el mundo. No tiemble vuestro corazón ni tengáis miedo (Jn 14, 27)

 

El Papa Francisco ha convocado este Domingo 7 de septiembre, Víspera de la Fiesta de la Natividad de la Virgen María, una Jornada Mundial de oración y ayuno por la paz en Siria, en Oriente Medio, Ucrania y otros territorios en guerra. En estos tiempos difíciles, en los que algunos nos quejamos de la demanda justa de no tener trabajo ni sustento, volvamos la mirada hacia quienes sufren unas condiciones de precariedad mucho más trágicas, y se levantan todos los días sin saber si volverán a acostarse.

Siguiendo la estela apostólica del gran papa San Juan XXIII y de su memorable encíclica «Pacem in terris», el Pontífice llama a los hombres y mujeres de todas las religiones, creyentes y no creyentes, y, en definitiva, a todos los hombres y mujeres de buena voluntad, para que se unan con su participación y con sus intenciones a la oración de la Iglesia universal por la paz. Recordando el espíritu y la letra de la citada encíclica, el entonces para San Juan XXIII expresaba su deseo de que los responsables políticos de las naciones caminaran en una dirección en la que, por su peculiares características, toda guerra debería ser prohibida. Profundizaron en esta idea documentos conciliares como la magnífica Carta «Gaudium et spes».

A cincuenta años de su publicación, vivimos en un mundo mucho más inestable y menos controlado, aunque obsesionado por la «seguridad», la cual es esgrimida muchas veces por los exponentes del pensamiento único del nuevo orden mundial así como por sus prácticos -los líderes políticos occidentales-, en detrimento de la justicia. Poco recuerdan algunos de estos líderes su conexión con el movimiento democristiano y la doctrina social de la iglesia. En este sentido, baste la afirmación, repetida por la saciedad por el papa San Juan Pablo II, de que no puede haber paz sin justicia.  En el nuevo orden mundial actual, que puede ser explicado como un desarrollo perfectamente lógico, aunque inhumano, del pensamiento único que ocupó la hegemonía cultural mundial utilizando de manera privilegiada el lugar de las cenizas del bloque socialista y de los ataques del 11-S, la carrera de armamentos ya no explica el equilibrio de fuerzas, pero el fanatismo en el que aquella se inspiró sigue vivo, y muchas veces vinculado a errores cometidos por líderes políticos y religiosos de Oriente y Occidente. De nuevo, no va a ser la paz táctica, la que Kennedy llamara de manera crítica «pax americana», la que traiga la verdadera paz, y con ello, la justicia, al mundo, sino aquella que nace del corazón puro y del amor al prójimo, incluido el amor a quien consideramos o nos considera nuestro enemigo.

Desde esta pequeña plataforma os invito a participar, de la manera que mejor estiméis en conciencia, en esta Jornada, desde vuestras casas, comunidades, puestos de trabajo o en el Templo. Las puertas de varias iglesias católicas estarán abiertas para recibir a todos aquellos que quieran unirse a esta sincera oración colectiva por la paz. Por mi parte, estaré esta tarde en la parroquia de San Germán, sita en Madrid, D. m., adorando a Jesús Sacramentado, que estará expuesto hasta las doce de la noche, y pidiéndole que ilumine los corazones de los políticos, de los poderosos, de los fanáticos, de las gentes resentidas y especialmente vulnerables a caer en la espiral de la violencia y con ello a convertirse en víctimas de ella; en definitiva, para que Jesús, que vino a traer la paz, infunda sobre toda la Humanidad doliente su Espíritu de Amor, a fin de que el hombre, con la ayuda del Espíritu de Dios, pueda resolver los problemas que él mismo ha causado por vías pacíficas y respetuosas con los derechos humanos. Que con la ayuda de Su divina gracia, y con la intercesión de la Santísima Virgen María, Reina de la paz, se derriben los muros de la incomprensión y se rompan las cadenas del odio, la ira, la violencia y el rencor que sólo llevan a encadenar nuevos actos de crueldad con otros y que, del reconocimiento de la dignidad del otro y de su humanidad, brote el Amor verdadero que lleve a la paz. Amén.

 

A.M.D.G.

 

 

Fin de Fiesta e inicio de curso. 1 de septiembre de 2014: la vuelta.. ¿a qué? A propósito de mi cese como profesor honorario de la Universidad Autónoma de Madrid

septiembre 1, 2014 § 4 comentarios


Ubi sunt qui ante nos in mundo fuere? (Gaudeamus igitur)

A los que vuelven, a los que se quedaron atrás y a los que no vuelven a ninguna parte

A mis compañeros de la Universidad Autónoma de Madrid, desde las señoras de la limpieza al Magnífico Sr. Rector 

 

Gloria a Dios en las alturas, recogieron las basuras

de mi calle ayer a oscuras y hoy sembrada de bombillas (…)

(…) Vuelve el rico a su riqueza, vuelve el pobre a su probreza

 y el señor cura a sus Misas.

Ya se despertó el bien y el mal

la pobre vuelve al portal

la rica vuelve al rosal

y el avaro a sus divisas.

Y se acabó, el sol nos dice que llegó el final…

por una noche se olvidó que cada uno es cada cual…

¡Y vamos, subiendo la cuesta, que arriba en mi calle se acabó la Fiesta! (Fiesta, Joan Manuel Serrat)

Volveré (Terminator, 1984, dir. por James Cameron, guión de James Cameron y William Wisher, Jr).

Queridos compañeros, amigos, seguidores y más de seis mil visitantes de los cinco continentes:

En estos tiempos de «operación retorno» en el viejo continente y, en especial, en mi país, es frecuente escuchar las quejas de quienes protestan por no tener más tiempo de vacaciones pagadas, de playa, de diversiones. Es normal, y no debería escandalizarnos. Lo que nos escandaliza es que estas inocentes «quejas», que deberían ser las propias de un país civilizado, no sean las prioritarias ni las compartidas por la mayor parte de la población. Incluso quien protesta por la vuelta a su puesto de trabajo, lo dice con la boca pequeña. No sea que que el empresario de turno, deseoso de «recortes» en «recursos humanos», contribuya con él y mediante cualquier artimañana económico-jurídica a engrosar las listas de paro. Y en la cola del paro, a la que vuelvo por cuarto año consecutivo, se pasa mucho frío. Con el añadido de que este «curso académico», como en una mala interpretación de la parábola de los talentos, aun lo que no tenía me ha sido quitado. He sido desahuciado de mi despacho tras tres años de mantenerlo con un título de Profesor Honorario, sujeto a fecha de caducidad. Para mí, que no considero el salario como la única satisfacción del trabajo -especialmente cuando aguien desarrolla un trabajo que le permita poner en práctica sus talentos-, como algo absolutamente necesario a nivel satisfactivo -lo cual no excusa al empleador, público y privado, de la exigencia de su pago inmediato en estricta justicia, pues el obrero merece su salario-, de lo que se me ha despojado es de un espacio de libertad intelectual que, con todas sus limitaciones, constituía una proyección, siquiera muy limitada, de mi vida privada y pública. Aunque lo que he pretendido escribir es un post de despedida, es imposible que, tras 13 años de servicio institucional -17 si sumamos los cuatro años de Licenciatura, a los que siempre me dediqué como «buen estudiante» como el que presta un servicio-, no pueda mezclar algunas reflexiones personales con algunas consideraciones más generales de orden social y macroeconómico. Sin embargo, antes de ello, quisiera llamar la atención sobre el hecho de que a día de hoy, 1 de septiembre de 2014, mi relación -desde el punto de vista formal- con la Universidad Autónoma de Madrid, no desaparece del todo, al menos indirectamente. En primer lugar, porque conservo mi puesto de Investigador en el Instituto de Ciencias Forenses y de la Seguridad de la UAM, Instituto con personalidad jurídico-pública propia vinculado a la UAM; y, en segundo lugar, porque como miembro de la Asociación de Antiguos Alumnos de la UAM conservo el derecho a utilizar todas las instalaciones comunes del Campus, incluyendo todas sus Bibliotecas y las instalaciones deportivas, entre otras.

Yo me considero un investigador. Por esta razón, nunca he podido ver mi puesto en la Universidad simplemente como un «puesto de trabajo», del mismo modo que mi concepción del ser humano en el mundo me impide ver a otro ser humano solamente como un conglomerado de células o como un «recurso», palabra tan en boca de las reponsables de los departamentos de recursos humanos de las empresas del país, a causa de los desvaríos lingüisticos y materiales de la hegemónica ciencia económica. La Universidad ha sido para mí, siempre, una comunidad de vida. Un lugar, pero también una experiencia colectiva de afectos, relaciones, conocimientos y sensibilidades compartidos que ahora, por lo que a mí respecta, toca a su fin. Es imposible guardar todo eso en cajas de mudanza.

Sin embargo, en este momento, mis sentimientos más fuertes ante esta situación de auténtico desahucio institucional, por consideración a estos trece años en los que creo sinceramente haber prestado servicio fiel a la Universidad Autónoma de Madrid, a la comunidad científica y a la sociedad en su conjunto, sólo pueden ser de gratitud a mis compañeros de la Universidad.

Cuando empecé en esto, corrían tiempos de «bonanza económica». La economía española se basaba fundamentalmente en el sector de la construcción y el sector de los servicios inmobiliarios, por los cuales fueron detraídos muchos jóvenes al sistema universitario. Frente a ello, la expectativa de ganancias fáciles e inmediatas, la insensatez de nuestra «clase emprendedora» y la colaboración de los bancos en los préstamos «sin fin» dibujaban en los años 2002-2003 un panorama de crecimiento económico que luego supimos que no podía mantenerse, pero en el que hasta entonces creía no sólo buena parte de la población, sino las fuerzas económicas y políticas del país. Pero los ciclos económicos llegan a su fin, y la rueda del consumo no puede mantenerse indefinidamente si no es a costa del incremento de la producción: y si ésta no «real», echemos mano de los activos financieros, más reales que cualquier bien de la llamada «economía real». Y así, en octubre de 2007, estalló lo que muchos no vimos o no quisimos ver: una crisis de proporciones devastadoras que se llevó por encima no ya los sueños, sino la pequeña riqueza de buena parte de la clase media, que fue «desacreditada» después de haber sido engañado con falsas promesas de créditos impagables, muchos de los cuales, con el pretexto del interés general de «salvar al sistema financiero», fueron asumidos por el Estado, pero nunca llegaron a la ciudadanía. Pretender que toda la responsabilidad de lo ocurrido deba recaer sobre el usuario o consumidor y que no hayan desempeñado un papel fundamental, desde una posición dominante de información y poder, variables sistémicas que hayan contribuido muy decisivamente a esta situación, es más ilógico que hipócrita. Al igual que pretender que la crisis fue «prevista» con antelación por los gurús economistas que hoy llenan los platós de televisión.

En cuanto a la Universidad, y aunque siempre se me advirtió que «no corrían buenos tiempos para ella», al menos la aparentemente estable situación macroeconómica que España presentaba hace 10-12 años permitía que nosotros, los investigadores, a los cuales no nos habían sido enviados los Gobiernos de la alternancia política oficial, pudiéramos comer «de las migajas que caen de la mesa del Señor». A un joven como yo, de veintipocos años, ¿qué más le podía ilusionar que entrar a formar parte de un proyecto colectivo superior a sí mismo, precisamente en el seno de la Academia que entonces consideraba, y sigo considerando, una auténtica vocación, sobre todo teniendo en cuenta el gran reconocimiento que obtuve por mis compañeros y la gratuidad con la que éstos enseguida se aprestaron a ayudarme? ¿Podía prever las consecuencias del deterioro que, por razones macroeconómicas, pero también de convivencia, habría de llevarme ese camino?

A las, según las dos fuerzas políticas de la alternancia, generaciones más preparadas de la Historia de España, no sólo no se nos atendió en absoluto ni por las fuerzas parlamentarias ni por los macroleviatanes rectorales de las Universidades Públicas, más centradas en cuadrar su déficit, en construir plazas mayores o en promocionar de golpe a todos los Profesores Titulares a Catedráticos, que en atender las justas reinvindicacioens de los colectivos más débiles de la Universidad. Los derechos que adquirimos los investigadores y trabajadores de hecho de las Universidades españolas los obtuvimos fundamentalmente por la presión promovida por la Federeción de Jóvenes Investigadores – Precarios, Federación en la que milité, como nuestra asimilación al alta en el Régimen General de la Seguridad Social a partir de la aprobación del Estatuto del Becario en 2003. A lo largo de mi actividad representativa en varios órganos colegiados y comisiones de la UAM tuve que sufrir personalmente las críticas más feroces, más o menos sutiles, como representante del llamado «Profesorado Investigador en Formación», por parte del stablishment corportativo universitario sólo por defender el derecho de mis brillantes compañeros de todas las áreas de conocimiento -ni siquiera el mío- de poder concurrir a las plazas de promoción como en cualquier empresa u organización, de acuerdo con los ya de por sí difíciles requisitos legales.

En el momento actual, a pesar de todo lo comentado, no me gustaría que éste fuera un post de lamentaciones. Comenzaba diciendo que sería un post de agradecimientos, además que de reflexión. Y es mi deseo que lo sea también de agradecimientos personalizados: En primer lugar, quisiera mencionar a mi primer director de tesis, Agustín Jorge Barreiro, hijo de tiempos más nobles y «viejo profesor», como a él le gustaba llamarse, en sentido cariñoso, así como a nuestro maestro común el Prof. Gonzalo Rodríguez Mourullo. En segundo lugar, pero en el mismo nivel de importancia, a mi codirector y amigo Fernando Molina Fernández, con quien concluí mi tesis doctoral. A Enrique Peñaranda, por todo lo que él y yo sabemos. A Mario Maraver, compañero y amigo, por tantas cosas compartidas. También a Juan Antonio Lascuráin, a Blanca Mendoza, a Laura Pozuelo y a Yamila Fakhouri, por tantos pequeños detalles que no se olvidan. A mi amiga y compañera de despacho Raquel Benito, y a  mis compañeros más jóvenes Daniel Rodríguez y Gonzalo Basso, deseándoles lo mejor para sus vidas personales, que es lo que importa. A todos los becarios de investigación y colaboración que han pasado por el Área de Derecho penal, menos orgullosos que yo, quienes sabían que en el juego de la Academia también se puede perder, pero no sólo en un concurso o en una oposición, sino en un sentido trágico. Se puede perder simplemente por el capricho de los dioses que deciden cambiar las reglas a mitad de la partida. O porque otros dioses superiores, llamados «coyuntura», » crisis», «situación del país», se hagan responsables de la tragedia. En el fondo los dioses nunca han sido responsables, sino sólo los humanos…

Tampoco me olvido de todas las buenas personas de dentro y de fuera de la UAM que he tenido oportunidad de conocer a lo largo de mi actividad de estudio, gestión, representación, docencia e investigación, dentro y fuera de España. De Alfonso Iglesias, de José Luis López González, de Pedro Dalmau, de Pablo De Lora, de Irene Martín, de David García, de Gilberto Pérez, de la actual Decana de la Facultad de Derecho Yolanda Valdeolivas, de Evaristo Prieto, de Joaquín Almoguera, de Liborio Hierro, de Tomás de la Quadra Salcedo-Yanini, de José María Miquel, de Andrea Macía, de Pilar Benavente, de Maravillas Espín, de Eduardo Melero, de Raquel Escutia, de Rosa María Fernández, de Susana Sánchez, de Carlos Crivelli. De Antonio González-Cuéllar y de Anibal Sánchez Andrés, IN MEMORIAM. De Josetxu Linaza, de Carmen Almendros, de mis compañeros de Psicología. Del Prof. Dr. Wolfgang Frisch, cuyo profundo conocimiento sólo es superado por su bonhomía, a quien siempre le agradeceré su interés hacia mi persona. De André Callegari de la Universidad de Portoalegre, de Mayra del Poggio de la Universidad del Istmo de Guatemala. De mi querida compañera de la Universidad de Valencia Carmen Tomás-Valiente, de Mirentxu Corcoy, de Andrés Domínguez Luelmo. De mi compañera y amiga Ana Garrocho, próxima Doctora de la Universidad Carlos III de Madrid. De Patricia Esquinas. De Javier Sánchez Vera. De Jesús Santos. De Raúl Villar, mi  mejor Rector; de Celia, de Investigación; de Antonio, de Nóminas; de Antonio, de la Secretaría de la Facultad; de Ángel, de Información; de Victoria y Araceli, antigua y nueva Secretarias del Área de Derecho Penal; de Ramón, de Informática; de Jose, de la cafetería; de las señoras de la limpieza, y de tantos hombres y mujeres buenos que no caben en una lista y que la Providencia, en medio de mi andadura universitaria, tuvo a bien poner en mi camino, pues de todos aprendí. De verdad, gracias a todos.

Me voy, me echan o, mejor dicho, me retiran, como a los replicantes de Blade Runner, lo cual me produce algo bastante más amargo que un sentimiento de pérdida de empleo o de lo que fuera que yo haya tenido estos últimos años como profesor honorario sin cobrar. Supongo que se refiere a la pérdida del honor representado por el reconocimiento de un espacio vital, comparable a un deshaucio institucional. Frente a este sentimiento, incluso el horror de conocer a dónde me mandáis, a la calle sin adjetivar, de cuyas condiciones podréis haceros una ligera idea a poco que pongáis cualquier telediario, se me hace menos duro. ¿A dónde iré? Sinceramente, no creo que a los máximos responsables institucionales de la Universidad les preocupe lo más mínimo mi destino, como el de otros que me han precedido. No les guardo rencor. Sólo sé que me queda la Casa de mi familia y la Casa de mi Padre del Cielo, donde siempre podré encontrar a Aquél que, habiendo preguntado a Sus discípulos, después de una dura prueba de fe, si también ellos querían marcharse, contestaron: «¿Y a dónde iremos, Señor? Sólo tú tienes palabras de vida eterna».

Me despido de todos vosotros, amigos y compañeros, con lo mejor que me habéis dado: un cúmulo de buenas experiencias y recuerdos, que será prácticamente imposible borrar de mi experiencia y mi crecimiento vitales. Sólo os pido, desde alguien que ya no está en situación de pedir nada, que mi paso por la Autónoma -como el de todos, pues todos estamos de paso- no quede en el olvido, ni mucho menos pueda decirse que yo haya pasado por ahí sin pena ni gloria.

Fdo.: Dr. Pablo Guérez Tricarico

           Doctor en Derecho por la Universidad Autónoma de Madrid

Vivat Academia, Vivant Professores

Vivat Academia, Vivant Professores

Vivant membrum quodlibet

Vivant membra quaelibet

Semper sint in fiore, sempre sint in fiore. 

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